Quando Lasch scriveva, nel 1984, che la vita quotidiana è ormai «un esercizio di sopravvivenza»[1], che gli uomini vivono alla giornata e che volgono lo sguardo al futuro «soltanto per capire come scampare agli eventi disastrosi che ormai quasi tutti si attendono», forse non immaginava ciò che il mondo sarebbe stato venticinque anni dopo, nel mezzo di una crisi finanziaria senza fine certa, e quanto le sue parole fossero destinate ad essere sempre più aderenti alla realtà. Egli aveva colto, come pochi, la natura delle correnti sotterranee del pensiero individualista e liberista, i profondi disagi che ne sarebbero derivati per ciascuno di noi nel tentativo di costruire l’identità personale. L’identità, che «implica una storia personale, amici, una famiglia, il senso di appartenenza ad un luogo», è oggi infatti minata, nel suo processo costitutivo (proprio dell’infanzia ma anche dell’età adolescenziale e giovanile) e in quello di manutenzione e revisione (più legato all’età adulta) da quello che possiamo definire un percetto comune, condiviso da molti: il senso di essere e di vivere in una sorta di continuo stato d’assedio.
La nostra società ha «prodotto una specie di ideolologia della crisi»[2] che, sempre più, a partire dagli spazi pubblici ha invaso il privato, «fino a costituire, in ognuno di noi, il modo di pensarsi come persona» (ivi).
Il punto vero della crisi, ciò che rende questo momento storico assai problematico e non facilmente minimizzabile, è il fatto che ci troviamo di fronte ad un puzzle (un patchwork come lo chiamano Benasayag e Schmit) di piccole e minime narrazioni individuali, che non riescono a connettersi fra di loro, a costituire un tessuto, e quindi a divenire comprensibili e gestibili. Le narrazioni globali, sovranazionali, poi, sono ancora più sfuggenti e misteriose. Quello che i media, a partire dai telegiornali e dai quotidiani, ci raccontano, ad esempio, sulla crisi finanziaria, sfugge al nostro potere di controllo. Come in una spy story, colui che sa, che ha il potere, ha volto e nome sconosciuti.
[1] Lasch, L’io minimo, Feltrinelli, 1984, p.7
[2] M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2003 p. 39